Il critico Pietro Aretino (1492-1557) si oppose alla visione umanistica a favore del ruolo inconscio e creativo dell'arte che non è più vista come mera imitazione in quanto diventano importanti fantasia e visione del mondo. Dopo “Le Vite” del Vasari si arriva al concetto di intuizione di Winkelmann con cui l'Illuminismo supera la concezione razionalista dell'arte e, anche grazie all'estetica di Kant (1724 1804), in cui il bello sfocia nel piacere disinteressato, l'arte non è più mimesi della natura ma forma interiore del genio artistico. Il giudizio sull'arte non è più quindi fondato su regole ma sui sentimenti individuali e relatività di giudizio del fruitore, infatti con Diderot a fine Settecento lo spirito artistico è espressione di legge interiore, e nell'Ottocento, con l'estetica di Hegel, l'arte è liberazione spirituale dalle forme: è l'arte che crea le cose ossia diventa nuova realtà scientifica.
La verosomiglianza della natura è condizione necessaria ma deve essere offerto qualcosa di superiore che soddisfi i sensi ad esprimere l'invisibile attraverso il visibile come ad esempio il braccio deformato del contadino di Cezanne. Quindi con l'Ottocento l'arte diviene disciplina scientifica ed il fenomeno artistico raggiunge la visione oggettiva nel Novecento anche grazie a storici dell'arte come Bernard Berenson (1865 – 1959) e Roberto Longhi (1890 – 1970) il quale affermò che l'arte non è imitazione ma interpretazione: è un processo autonomo per cui, mediante linee forme e colori, si esteriorizza uno stato psicofisico che in seguito il fruitore per simpatia riproduce. Croce nel 1911 riprende la teoria della pura visibilità del teorico Conrad Fiedler ossia dell'unità tra osservatore e produttore: l'opera è costituita dalla relazione di contenuto/forma quindi l'arte è intuizione individuale legata al proprio contesto storico stilistico.
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Dalla concezione romantica della Natura, nasce il tema dell’Energia espresso attraverso il concetto della volontà Schopenhaueriana o dall’èlan vital (slancio vitale) di Bergson, cioè dall’immagine del flusso energetico che attraversa dinamicamente la Natura e l’uomo stesso e che diventa anche metafora dell’arte nel suo tentativo di rappresentare la Natura attraverso la costruzione soggettiva dell’artista a diventarne l’analogo pittorico.
Energia come slancio vitale che guida e pervade l’azione umana ed anche come elemento costitutivo dell’opera d’arte non più imitazione della Natura ma realtà autonoma quasi in competizione con essa; il male diventa energia naturale o naturale ribellione all’oppressione delle norme (metafora di Prometeo, il titano che si ribella a Zeus – caro a poeti come Shelley). Ed ancora le poetiche sul viaggio all’interno di se stessi, poi sulla capacità di rappresentare la Natura esterna non per imitazione, ma attraverso l’intuizione ricreatrice rivivendo l’esterno interiormente al fine di trovare una potente sintesi dell’insieme.
Ad esempio il circolo romantico di Jena (1796-1802 in Germania) è il prototipo di un raggruppamento artistico anticonformista, ossia degli intellettuali creatori di una nuova sensibilità tesa verso forme espressive innovatrici comprendente una vera e propria filosofia, dunque una estetica ossia teoria concettuale capace di inventare fenomeni di gusto e miti. “Natura! Da essa siamo circondati ed avvinti”, scrive W. Goethe, “ci rapisce nel vortice della sua danza”. La Natur goethiana è essenza totalizzante, vitale ed assoluta; è da questo che s’imposta il nuovo rapporto Artista/Natura. L’arte non è imitazione, ma produzione attiva il cui movimento va dall’interno verso l’esterno, la Natura parla dentro l’artista. L’artista genera dunque una forma d’energia simile a quella che dispensa la Natura, od è addirittura attraversato dall’energia stessa della Natura.
Tra gli artisti del ‘900, Paul Klee scrive: “… noi imitiamo nel gioco dell’arte le forze che hanno creato e creano il mondo”, in seguito a fine secolo Giovanni Anselmo, protagonista dell’Arte Povera, alla domanda “Cos’è l’arte?” risponde: “L’arte è energia”. Infine, nel contemporaneo, l’artista usa l’Energia vitale per toccare e coinvolgere il pubblico trasmettendo emozione costruttiva o suscitando una potente reazione catartica; l’Energia è l’elemento che innerva l’opera conferendole una sorta di “esistenza” (Energia=Vita). Per Blake, l’Energia si connette al ritorno del “primitivo”, alla sincerità originaria e primaria della Natura. Ad esempio Leopardi collega la sensibilità di se stesso fanciullo alla ricerca di un epos popolare ricco di quella fantasia primitiva dei fanciulli; si torna così al Vico, ossia alla naturalezza poetica dei “primitivi“ contrapposta alla scienza dei popoli più evoluti. Persino Goethe nel Faust, anticipa la rivalutazione novecentesca dell’arte primitiva: “E così il selvaggio plasma figure mostruose e colori accesi e lascia che l’arte sia costituita dalle forme più arbitrarie: la sua armonia sarà senza rapporti precisi, perché un sentimento ha fatto di essa un tutto caratteristico”.
W. Goethe nel 1773 afferma: “L’arte è creativa ancor prima di essere bella” e tale intuizione fu ripresa all’inizio del ‘900 da Geltrude Stein ossia quando il nuovo deve emergere è più importante la sua energia e la sua forza che non la sua compiutezza formale; il nuovo ha il coraggio del brutto. L’arte dei popoli arcaici (Omero), arte cristiana e medievale (Dante), architettura gotica (Inghilterra, Germania e Francia), epos delle nascenti culture europee (Ossian) ed arte popolare costituiscono un insieme d’interesse per l’artista in quanto riconnettono l’uomo moderno ad una sorta di energia originaria per riacquistare la capacità di parlare al pubblico. La rivalutazione del popolare e primitivo, permettono all’artista di contrapporre alla Natura (Energia per eccellenza) una Energia umana ancora potentemente vitale in quanto scaturisce da popoli naturali non ancora artificializzati. Le costanti culturali, tenendo conto che gli elementi formali sono confermati dal contesto storico, vengono rilevate da affinità di soluzioni plastiche, mitologie trasversali , scelta di soggetti e similarità iconiche che convergono verso uno stesso tema. E' poi interessante la ricorrenza di topoi o stereotipi letterari a segnalare la nascita di una tematica artistica. La rivoluzione industriale contrassegna l’interesse che gli artisti nutrono per culture ed epoche primitive, dalla rivalutazione della Natura alla nostalgia della verginità perduta di una società ormai artificiale. Si definiscono così una serie di tematiche, ossia miti moderni che attengono al rapporto fra uomo/Natura, fra uomo e le profondità insondabili della propria natura, del mondo interiore, un vero e proprio universo dentro l’universo (Seneca: “la meraviglia è l’anima”).
La ‘seconda vista’ di W.Goethe è la capacità di vedere ed interpretare cose che agli altri restano impenetrabili. La bellezza sorge dai due principi sovrani dell’unità e della semplicità insieme congiunti con armonia e proporzione; la semplicità nasce dall’unità e da ambedue insieme procede il sublime. L’Energia vitale è la crescita inarrestabile della Natura come rappresentazione della vita stessa; per l’artista la vitalità della Natura, anche per la smisuratezza che trascende la comprensione, diventa una sfida impari. Il compito del demiurgo non è l’imitazione, ma la creazione di una essenza di tipo ideale che si realizza attraverso una continua reinvenzione, secondo quanto detta “l’occhio interiore”, ossia la seconda vista. In questo senso, dice De Ruggiero, “Goethe afferma che l’arte supera la Natura senza lasciarla, cioè esprime la verità interna di essa, che è celata alla visione superficiale delle sue apparenze”.
All’inizio del ‘900 troviamo ad esempio “La seconda vista” di Franz Marc e “Verso la vera visione della realtà” dove Mondrian afferma che “per creare l’unità, l’arte deve seguire non l’aspetto della Natura, ma quello che la Natura è in realtà. La Natura è unità: la forma è uno spazio limitato… l’equilibrio di ogni particolare poggia sull’equivalenza dei suoi opposti”. Questa lotta fra l’artefice e la Natura è secondo molti destinata allo scacco; per il Bonaventura, autore dei “Notturni” (1804), gli antichi come Prometeo sapevano plasmare uomini nell’argilla ed erano ancora capaci di infondervi una favilla solare. L’artista deve essere capace di infondere la scintilla della vera vita, l’idea stessa della vita; l’opera d’arte si carica così di Energia vitale e solo a queste condizioni può opporsi alla Natura.
Nei notturni rischiariti dalla luna in Turner, Palmer, Friedrich e fino all’italiano Bagetti si intendeva sottolineare il paesaggio interiore e simbolico; anche il naturalismo ottocentesco nasce in parte da osservazioni che non volevano rendere la realtà della Natura, bensì restituire uno stato d’animo. Con l’epoca industriale si rovescia il rapporto dell’uomo con la Natura, di conseguenza l’arte considera retrospettivamente i modi espressivi dei primitivi, forme artistiche popolari, arte arcaica dei Greci e dei popoli mediterranei e mondo medievale ancora presente nel ‘700. L’empatia col passato è dovuta dal desiderio di verginità e purezza di una civiltà ormai esaurita, dove i sentimenti sono offuscati da abitudini acquisite o regole innaturali. All’inizio del ‘900, Kandinskij spiega questo riavvicinamento ad un passato come una “somiglianza delle aspirazioni interiori” fra moderni e antichi, e degli ideali un tempo raggiunti ma poi dimenticati; nasce così per l’artista russo la simpatia e la comprensione per i primitivi: “come noi, questi artisti puri miravano all’essenziale e rinunciavano ai particolari esteriori”.
Scrive Vittorio Santoli: “Ossian, i canti popolari e Shakespeare, per i neogotici intorno al 1770, formavano un gruppo opposto alla poesia greca ed in sintonia coi termini popolare, primitivo e lirico”, dunque il contemporaneo vuole essere naturalmente poetico come il primitivo, cosciente tuttavia di non esserlo. La ricerca di un mondo originario non adulterato è rivelata dall’interesse per l’epoca arcaica, cioè precedente a quella classica già presa a modello e sviscerata da tempo; ne segue lo spostamento all’indietro rispetto a Raffaello ed ai modelli accademici, in cerca di quella purezza un po’ ingenua, ancora medievale dei quattrocentisti italiani. I romantici infatti hanno una venerazione per la grazia acerba dell’ingenuità, sia frutto dell’infanzia, del mondo popolare, dei dilettanti, dei poeti; secondo Jean Paul il sogno poteva essere utilizzato per studiare le rappresentazioni involontarie dei bambini, degli animali, dei folli e Kandinskij nell’”Almanacco del Cavaliere Azzurro” scrive: “Una delle spiegazioni dell’efficacia che i disegni infantili hanno sugli osservatori non prevenuti sta appunto qui: il bambino guarda ogni cosa con occhio non assuefatto ed ha ancora integra la facoltà di percepire la cosa come tale. Soltanto in seguito… imparerà a conoscere l’aspetto pratico-funzionale delle cose. Nei disegni si ha una spontanea manifestazione della risonanza interiore dell’oggetto”. Non si tratta dunque di vuota apparenza.
Come abbiamo visto, dunque, il concetto di seconda vista dei romantici e degli artisti del ‘900, è la capacità innata del genio artistico di saper leggere la vera realtà laddove l’uomo comune non vede che le apparenze (come sostiene la filosofia di Schopenhauer) proprio perché ha perso col tempo le facoltà percettive della Natura e del mondo che è in realtà un’apparenza opaca ed insondabile. Da qui la ricerca della grande poesia del passato (Omero, Ossian, Dante, Shakespeare), con le tradizioni popolari, con sogni o sentimenti estremi che rendono possibile il contatto con la parte più profonda del se, permettono di varcare la soglia e di riavvicinarsi alla perduta visione naturale e spontanea dei fenomeni. Ad esempio nel ‘900 troviamo De Chirico che parla di “visione spettrale o metafisica” ed i simbolisti interessati alla Teosofia come Kandinskij e Mondrian che addirittura superano il primitivismo e la semplificazione formale a favore dell’astrazione, dunque esprimono direttamente il mondo interiore senza imitare le apparenze esteriori; il recupero delle facoltà percettive originarie diventa evocazione dell’energia della vita escludendo la descrizione analitica. La sincerità assoluta dell’espressione viene raggiunta dall’artista attraverso una tecnica di esecuzione veloce, senza correzioni ed usando solo colori primari.
A fine ‘800 si superano i limiti del realismo per esprimere l’inneffabile, l’impreciso, le sensazioni, i pensieri dell’intimo, il profondo ed i problemi della vita. Ad esempio Baudelaire, poeta e critico, stabilisce una serie di coordinate per lo sviluppo dell’arte tra cui l’idea che “la vera natura del mondo non sia quella che si cattura coi sensi” inoltre in Delacroix riconosce la magia del colore e della fantasia volte a riscattare la banalità del quotidiano. Delacroix, come Baudelaire in “Correnspondances”, è un artista sensibile. Le apparenze del mondo gli sono note, ma sa che dietro l’aspetto familiare si celano i misteri della Natura, dell’animo stesso dell’uomo; Delacroix possiede la seconda vista capace di penetrare le apparenze illusorie. La mitologia diventa un repertorio da scandagliare a scoprire le risonanze interiori, ancora vitali ed inesplorate, contenute nei vecchi miti classici.
L’Impressionismo di fine ‘800, pur restando un’arte analitica, è a favore di una pittura pura, contemplativa e disinteressata che pur provenendo dall’osservazione della realtà, sposta l’attenzione dall’esterno all’interno dove la sensazione viene decantata e sublimata in pennellate che diventano la dimostrazione dell’abilità dell’autore; è la capacità di costruire il diapason emotivo del quadro, il colore non è più quello reale, ma quello interiore ossia quello dello stato d’animo o simbolo suggerito. Così la scelta primitivista, gli egiziani, il gotico, l’arte popolare e giapponese e tutto quanto è arcaico ed antirealista può diventare oggetto di meditazione ai fini del recupero della sincerità espressiva e della verginità per giungere all’uomo originario nascosto dentro di noi, ossia alla profonda nostra essenza. Di fatti il primitivismo è proprio lo stile che consente di agire sui contenuti attraverso la forma e rinnovare i presupposti della pittura. Inoltre per il principio di equivalenza fra le arti, molti pittori (tra cui Kandinskij e Kupka) sceglieranno una pittura che, come la musica, non sia tanto imitazione ma un’architettura di suoni corrispondente ad una partitura di sensazioni e sentimenti.
De Chirico scrive che la pazzia sia fenomeno inerente in ogni manifestazione d’arte, infatti Schopenhauer definisce pazzo l’uomo che ha perduto la memoria ossia la logica dei rapporti fra le cose e noi; per De Chirico solo rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione sono in grado di rivelare l’aspetto nascosto delle cose, ci si accosta così alla teoria romantica della seconda vista degli artisti. T.Tzara nel “Manifesto Dada” del 1918 scrive che il pittore crea un’opera sobria e precisa, senza soggetto, un’arte assoluta; l’opera assume una sua coerenza interna che non ha legami con realtà e logica. Anche il pittore R. Caillois non cerca di illustrare, vuole solo esprimere un’atmosfera, una scena che ha in mente e lo emoziona senza che sappia perché ma che intuisce significativa; si sforza di comunicare la sua impressione sperando che il fruitore sarà toccato dalla stessa rivelazione.
“Nessuno voleva ammettere che si potesse combinare scienza e poesia.”
(J.W.Goethe 1749-1832, Metamorfosi delle piante 1790)
Tutte le forme delle piante si possono far derivare da una pianta sola. La classificazione fissista di Linneo venne superata a metà ‘800 con le idee evoluzionistiche ed ogni pianta conosciuta venne inquadrata in un sistema basato su affinità genetiche e biochimiche. La vita è cambiamento.
“Dar forma all’informe”
(Luke Howard, riguardo alle nuvole)
L’artista deve lavorare sulla sensibilità del proprio animo che è un semplice prodotto della Natura già dominata dalla fantasia, senza fantasia neppure l’imitare può riuscire. La Natura consta di un tutto organico, di parti alla radice identiche in continua variazione e differenziazione; nell’ordine mobile tra forma ed informe, il coglimento del tipo, che Goethe chiama “fenomeno originario”, è quel “vedere le idee con i propri occhi”. L’arte è il rapporto tra idea ed esperienza, occorre afferrare l’unità ideale.
La ragione goethiana è inscindibile dai sensi e dalla corporeità, anche i raggi colorati che escono dal prisma, margine della luce e dell’oscurità, sono fenomeni percettivi, in qualche modo soggettivi; così i fenomeni che noi proiettiamo su uno sfondo oggettivo sono l’incontro di un darsi e di un accogliere che lega rigore e fantasia. Goethe si interessa al divenire delle forme della vita ed afferma: “la Natura può riuscire in tutto soltanto mediante una sequenza. Non potrebbe ad esempio realizzare un cavallo se non vi fossero prima gli altri animali mediante i quali essa sale fino alla struttura del cavallo. La Natura, per quanto molteplice, è sempre un’unità”. Per Goethe tutte le forme, anche riguardo alla fisiognomica, sono metamorfosi di un’unica forma originaria (archetipo), infatti ha cercato caratteri universalmente validi al fine di istituire un ordine complessivo valido per la Natura e l’Arte ed in cui ogni elemento possa trovare il suo posto determinato; cerca di inserire il caratteristico nel tipico per comprendere la forma nella sua universalità concreta. La Natura si evolve dall’imperfetto al perfetto, l’intera creazione è parte di una catena cosmica ed ogni essere ha il fondamento della sua esistenza nel precedente (sviluppo continuo della Natura). Per cui il differente è trasformazione e moltiplicazione dell’unità, la mutazione dell’una forma nell’altra è la tendenza ascensionale del vivente; la deformazione avviene per eccesso o mancanza, la forza generatrice si mostra tanto nel simmetrico quanto nel bizzarro. Tutte le parti sono trasformazioni (metamorfosi) di parti all’origine identiche; un organismo è un tutto armonico in quanto costituito da parti identiche che hanno deviato finemente. Ogni essere vivente è una pluralità di organismi. Goethe afferma l’unicità dei vertebrati attraverso un metodo morfologico di comparare tutte le diverse forme in funzione di un tipo comune a tutte; cogliere un tipo unico ed originario da cui far discendere tutte le forme.
La Natura non ha un piano preordinato, eppure nella sua casualità possiede ordine, continuità ed armonia di forme che rinviano a leggi. Ad esempio il “Principio di comparazione”, ossia la legge del dare e dell’avere: la Natura ha un bilancio limitato, se vuole spendere di più da una parte deve risparmiare dall’altra. La Natura di Goethe è risparmiatrice, dal semplice fa sorgere il complesso traendo l’inatteso ed il nuovo dal noto e consueto. Quindi ricondurre i singoli fenomeni ad una legge universale, ad esempio ipotizza che il granito sia la roccia originaria che si formò nel corso del tempo e che testimonia il mondo primigenio che risulta contenuto nella sua essenza essendo il granito un materiale composito che tuttavia forma un’unità; infatti il granito pur essendo costituito da parti visibili, mostra a colpo d’occhio che tali parti sussistono soltanto in unione e vicinanza reciproca.
Mettere in rapporto dialettico l’arte con l’investigazione scientifica, nella tensione del vedere e sentire, di conoscenza razionale del fenomeno e della sua trasfigurazione visionaria. Sapere è meglio di non sapere, la storia delle idee serve a farci vedere quanto siano lontane e complicate le origini delle nostre parole, le radici dei nostri pensieri e dei modi di sentire. Ci mostra spesso quanta fatica ed intelligenza abbiano speso i nostri antenati per formulare cose che nel presente ci appaiono come delle ovvietà. L’uomo contemporaneo è segnato dalla massificazione dei miti, dal degrado ambientale più scellerato e dalla violazione continua dei valori dello spirito. Nel XVI secolo non si è ancora dissipata la sensazione d’estraneità essenziale della montagna anche se la lettura in termini organici della terra sembra avvicinarla all’uomo; in questo secolo il pianeta terra è visto come corpo vivo, costituito da organi in correlazione tra loro e sottoposto ad un processo di trasformazione. La terra appare disseminata da nuclei vitali che consentono la formazione di forme viventi sempre nuove in un avvicendamento di vita e morte; la montagna diventa simile allo scheletro umano, funge cioè da sostegno della massa vivente in metamorfosi; all’interno della montagna si svolgono diversi processi relativi al ciclo dell’acqua ma anche del fuoco attraverso l’azione dei vulcani. Lo scenario montano, come si osserva nei fogli di Durer, tende a modelli ideali in precedenza acquisiti e l’immagine rimane pensata per via del rapporto fra arte e scienza che a quelle date conosce oscillazioni simboliche, metafisiche e sperimentali. La figura cruciale in questo senso è Leonardo che scrutava il mistero della Natura esaltando la percezione visiva, sia che l’immagine avesse una valenza scientifica od invece ancora simbolica; le forme di Leonardo risultano ambigue, sono esoteriche e antropomorfe: foglie come nastri, onde come capelli, alberi come il sistema delle vene dell’uomo, rocce come figure pietrificate. Nel corso del XVI secolo la montagna diventa un soggetto popolare che osservata dal vero veniva poi trasformata in paesaggio fantastico; lungo è il cammino verso la conoscenza intesa come esperienza e osservazione del fenomeno. Nella ricerca della verità di una Natura inafferrabile, occorre andare oltre il dato fenomenico, individuando l’essenza che ne spieghi le leggi.
Per Johann Wolfgang Goethe, Alexander von Humboldt e John Ruskin, l’interesse per la Natura non è mai separata da quello per l’arte; la ricerca rigorosa e quella più libera e creativa, non sono disgiunti da un’essenziale e riconoscibile dimensione estetica. In Natura è possibile individuare forme, strutture o modelli simili a quelli che l’arte utilizza per creare il nuovo; nella montagna sembra difficile trovare forme compiute, ma al contempo mostra luoghi-simbolo e dimensioni spaziali significative della Natura visibile anche inorganica. Nel ‘700 la montagna acquista la dimensione del tempo, un paesaggio di pietra monumento al divenire in cui è possibile studiare la storia della Natura. Dipingere il paesaggio alpino è per Ruskin un impegno di umiltà nell’acquisire la conoscenza del Creato, il quadro diventa il tramite di conoscenza e testimonianza; l’obiettivo non è raggiungere la verosimiglianza ma la verità, così che l’arte possa diventare inversione speculare della Natura. Caspar David Friedrich vide nella pittura di montagna il soggetto ideale per la sua concezione mistica dell’arte e con lui la Natura viene intesa come luogo d’esperienza spirituale di ogni individuo. Il concetto del sublime, teorizzato da Edmund Burke nel 1757 e da lui definito come la più forte emozione dell’animo umano, trova nella pittura di paesaggio il luogo d’attuazione ideale, la Natura è intesa quale specchio dell’interiorità e anelito alla ricongiunzione del Tutto.
A metà XIX secolo con l’Impressionismo e Divisionismo si era a favore di un’interpretazione libera dai principi tecnici per favorire l’espressione degli stati d’animo ad affermare il soggettivismo della visione, quindi massima libertà creativa rispettando equilibrio ed armonia. Come ad esempio Cèzanne che rivela intensità di sentimenti nello studio della Natura alla ricerca della verità: la montagna s’innalza verso il cielo e nello stesso tempo scivola sulla terra. Agli inizi del XIX secolo, quando la conoscenza delle apparenze fisiche e della natura dei fenomeni naturali erano ormai svelati dalla scienza e dunque privati dall’attrattiva del mistero della loro creazione, molti artisti perdono la visione reale delle cose che si smaterializza in una dimensione intellettuale, spirituale e mitica. Da Cèzanne a Nolde, da Hodler a K.Moser e Munch si realizza quel passaggio dall’empirismo alla riflessione che diverrà una delle costanti della pittura del XX secolo; spinti da un imperativo di verità, si dimostra di aver perso ogni interesse per la realtà superandola in direzione meta-fisica e simbolica ed il mito ritorna ad abitare i luoghi inaccessibili quali la montagna che diventa luogo di stati d’animo derivante anche dal suo potere di suggestione ed illusionismo antirealista.
Un oggetto non ha colore specifico, ma è la luce che colora e gioca sugli oggetti attraverso il prisma. Di conseguenza un pittore non colora la superficie di una tela, ma procede per strati estremamente diversi, la cui combinazione e sovrapposizione crea il tono adeguato. I simbolisti, nonostante fossero pittori impressionisti, cercavano un significato simbolico a dispetto della sensazione, ad esempio Cèzanne dominò le forme della Natura in una volontà di composizione intellettuale al fine di riordinare la Natura, la pittura non è più ciò che si vede, bensì ciò che si pensa, che si immagina, ciò che l’intelletto ed il sogno inventano. Riuscire ad esprimere l’incanto della vita, dell’acqua, dei giardini, delle donne, presentare immagini vive e soavi lasciandosi guidare dall’istinto e dalla spontaneità al fine di esprimere la propria visione interiore. Cèzanne volle rappresentare la realtà oggettiva senza però seguire dei criteri imposti, quindi realizzare un mondo senza comunque abbandonare la base sensoriale dell’esperienza estetica; l’arte diventa realtà e creazione di un mondo oggettivo, non la sua rappresentazione e Cèzanne dà alla realtà una configurazione strutturale affinché le sensazioni vengano filtrate dalla propria coscienza che valuta l’oggetto naturale. Gli artisti del XIX secolo vengono così stimolati a dar maggior rilievo alle possibilità comunicative della visione, studiandone le leggi e l’efficacia.
Cèzanne vuole ricreare, nella sua assolutezza, la semplicità della Natura ad ottenere la pura sensazione visiva; la visione presuppone un punto di fuga stabile. Cèzanne va al di là: l’occhio non è più immobile, vi possono essere varie prospettive anche contemporaneamente; ciò che la Natura ci presenta come ritmo verticale, si può rappresentare in composizione orizzontale e l’orizzonte diventa una linea qualsiasi, perfino obliqua; la composizione al fine domina ogni parte del quadro. La pittura non è sottomessa all’immagine naturale, ma risulta parallela, è un fare opposto al realismo che si limita a presentarci immagini fenomeniche limitate all’apparenza. Con Cèzanne l’arte diventa meditata, soggetta all’intelligenza creatrice pur se continua ad esser presa dall’osservazione del vero naturale, la pittura diventa costruzione coerente, sensazione colorata, una nuova realtà resa con semplicità.
Con l’Espressionismo, l’arte s’intellettualizza, diventa emozione, soggettività, l’artista esprime se stesso e rappresenta la realtà percepita e non quella visibile; vengono cancellate le frontiere ed il mondo viene contemplato come unità. Tutti gli esseri fanno parte di un tutto, la Natura; tutto appare umanizzato e trasfigurato fino ad assumere caratteri fisionomici, la pittura diventa mezzo per manifestare l’inesprimibile. Kandinskij distrugge l'oggettività e realizza la quintessenza dello spirito, una Natura sublimata. La forza che anima le sue opere è di origine interiore ed afferma la realtà spirituale che si oggettivizza; la sua “necessità interiore“ è tesa al rigore ed alla semplicità. Paul Klee sopprime ogni norma ed abbatte i limiti che separano gli esseri e le cose, trova un equilibrio attraverso l'istinto e suggestioni culturali remote e poco decifrabili; forme e colori sembrano nascondere un segreto significato simbolico.
La rivalutazione del primitivo del primo '900 è conseguenza del vuoto dell'incomunicabilità sociale, ben diversa dalla comunione col mondo circostante che si aveva, invece, nei popoli “primitivi”. Gli artisti occidentali sono colpiti dalla forza espressiva e dalla capacità di sintesi dell'arte negra, polinesiana od orientale, sono affascinati dalla chiarezza con cui vengono ordinati i dati sensoriali atti a dare un'immagine verosimile e profonda della realtà. Al realismo visivo del classicismo se ne oppone uno intellettuale capace di rappresentare ciò che lo spirito conosce. Negli artisti “primitivi”, privi di conoscenza di regole artistiche, si rivela una visione semplice, immediata e poetica della realtà; è un modo sacro di vedere il mondo, vicino a quello dei bambini, si denota grazia, incanto e tenerezza. Il bambino dipinge a memoria, pone in rilievo gli elementi che gli interessano, dà al colore funzioni simboliche, spazio e tempo hanno un ruolo particolare, non esistono confini fra interiorità e realtà esterna. La realtà viene contemplata come qualcosa di misterioso, sebbene contenga significati simbolici; il gesto diventa istintivo; senza coscienza il pittore è solo un decoratore.
Dagli anni cinquanta le diverse strade intraprese dall’astrazione sono ormai al di fuori della logica rappresentativa tradizionale, la pittura restituisce il dato naturalistico in forma di evocazione, sensazione e sentimento. Il contemporaneo esprime l’alienazione dalla Natura che non è più incontaminata o sublime, ma oggetto di consumo; le generazioni artistiche più giovani mostrano un atteggiamento complesso verso il dato naturale, oscillano fra un’osservazione quasi scientifica della Natura e una rielaborazione lirica dei suoi fenomeni. Alcuni come Anish Kapoor, esprimono una visione organica della Natura e la montagna diventa metafora del corpo, quasi paesaggio antropomorfo di MaX Ernst; l’incongruenza metropolitana e la pervasività del sistema delle informazioni si sostituisce all’esperienza della realtà di cui se ne perde il senso.
La vita, la natura in quanto tutto e morfologicamente coinvolgente in ogni sua parte ti domanda, si chiede, si sbigottisce davanti alla tua indifferenza, negatività, negazione della sua essenza in quanto ti appartiene, ne sei parte e quindi devi rispettarla, rispettarti, volerti bene, volere bene ed accettare la tua natura in quanto parte di un tutto indivisibile e che non può sussistere, esistere senza la tua collaborazione. Dunque che cosa stai facendo a te stesso e al tuo mondo?, perché non accetti di farne parte e non lo rispetti?, tu sei parte di un cosmo universale ed il fare male a te stesso, agli altri ed a ogni forma vivente, al pianeta stesso che ti dà aria per respirare e risorse per sopravvivere non è cosa naturale. Occorre prendere coscienza di se e del tutto e tornare all’essenza delle cose in quanto tali e reali perché è la salvezza del nostro mondo quello di aprire gli occhi, di capire quello che ci circonda, di rinnegare l’ipocrisia, le cose giuste e sbagliate, ma accettare la propria natura e quella degli altri viventi. E’ questo il solo modo per uscire dalla negatività del XXI secolo, essere se stessi nel rispetto di se stessi e del tutto, guardare le cose in modo semplice, quasi istintivo, primordiale per giungere alla sostanza ed alla vita delle cose stesse. Da piccoli, prima di essere coinvolti nel caos contemporaneo, si vedevano le cose in modo chiaro, pulito e semplice; bisogna sentirsi come si era nell’infanzia, senza paure, dubbi e blocchi mentali che non ti tolgono il respiro e vivere, invece, in armonia con la vita stessa. I lavori “Vortice 1-2” fanno paura, perché è la vita che fa paura che ti vuole spronare ad aprire gli occhi, a capire e vedere le cose per quello che sono e non a nasconderti dietro ciò che la società impone come corrette o sbagliate. Vedere le emozioni vere dell’esistere, non nasconderle e rinnegarle perché sono quelle che ti fanno sentire vivo e coinvolto nel mondo che è tuo e ne sei parte. Accetta il dolore, la fame, la paura, la rabbia, il desiderio, l’amore perché tu sei tutto questo e non altro; non passare una vita inseguendo le cose da fare e da non fare, non sei tu, non arrivare vecchio ed insoddisfatto, non rinchiuderti nelle sette religiose od altro solo per far parte di qualcosa così da escludere gli altri; siamo tutti parte di un tutto senza barriere e nessuno è migliore di un altro. La vita, la Natura, il mondo ci guardano perplessi, ci chiedono perché siamo arrivati a questo e come può questa società falsa e negativa andarci a genio? Abbiamo una storia alle spalle, non buttiamo via tutto, ritroviamo noi stessi ed abbracciamo le emozioni che facciamo finta di non vedere solo perché ci dicono che è giusto. Torniamo alle emozioni, alle sensazioni di cui è pervasa la Natura e le sue creature, noi compresi; guardiamo e affidiamoci al nostro intimismo, sorpassiamo le convenzioni. Siamo al contempo animali e uomini, se si è consapevoli della propria memoria storica/evolutiva ci si può sentire più partecipi col resto del pianeta vivente e quindi rispettarlo. Riflettere su se stessi, sulla insoddisfazione sociale, su cosa si sta facendo della propria vita e cosa si dovrebbe invece fare, perché si deve essere omologati agli altri e non diversi, a cosa serve essere massificati, bisogna avere il coraggio di essere se stessi e sentirsi parte del mondo, rispettare la propria natura. L'inconscio collettivo è la nostra stessa coscienza/essenza in quanto parte di un tutto più grande ed universale che ci sprona a riflettere sui nostri comportamenti errati nei confronti di noi stessi e degli altri esseri viventi e non. Cosa succede al mondo, ci sembra di volare ed a volte di precipitare, oppure ci sentiamo come un pacco postale; ciò che fai non riguarda solo te stesso, non andare avanti per inerzia od abitudine, vivi. Non girarti sempre dall'altra parte, sii partecipe della tua vita, affidati all'istinto ed alla creazione stessa della vita. Tutte le cose buone e cattiva sono intrecciate, anche dentro di noi; perché siamo al mondo, proviamo a capirlo e ad agire secondo la nostra natura, il nostro scopo. Nella Natura c'è la vita, guarda i monti, il mare, gli occhi di un cane ed anche dentro di te: non è tutto brutto.
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